a cura di Luigi Manzo
NOTA DEL CURATORE
Perché un libro sulle Vestali romane? Oggi ha senso parlare di un ordine religioso scomparso oltre 1700 anni fa di cui in realtà si sa poco o nulla?
Andiamo per ordine. Con il nome di Virgines Vestales si designavano, nella Roma antica, le sacerdotesse addette al culto di Vesta, probabilmente il culto più antico di tutta Roma. Le origini di Vesta risalgono alla Grecia e in qualche modo la sua “presenza” a Roma si lega alla venuta di Enea dopo la caduta di Troia (quando ovviamente Roma ancora non esisteva). Delle Vestali si sa poco: dovevano occuparsi della custodia del fuoco sacro, racchiuso in un tempio circolare i cui resti si possono ancora ammirare nei Fori imperiali. Degli altri monumenti riservati al culto, dei loro rituali, non si sa nulla.
Nella religione ufficiale del periodo repubblicano, le Vestali poi troveranno posto insieme coi Flamini e col re dei sacrifici nel collegio dei pontefici. Spesso questa custodia del focolare è stata scambiata come una funzione quasi “domestica”, una versione antica dell’angelo del focolare. E qui bisogna andare oltre l’aspetto letterale o figurativo: il fuoco sacro non rappresentava (solo) il focolare domestico in una casa, ma la manifestazione della luce divina che si trovava in quel momento sulla Terra. La scintilla di Dio (o di Giove o come lo si voglia chiamare), l’unica che permetteva ad un Ordine Iniziatico (come quello delle Vestali) di creare un collegamento tra l’alto e il basso, tra la Terra e Dio. La “casa” ha un ricco simbolismo ed ha a che fare con il tempio interiore (si veda a tal proposito il sogno che fa Jung sulla casa a più piani). La presenza del “fuoco” in un tempio circolare sulla terra, significava anche che il Graal era presente tra gli uomini e la porta dei cieli era aperta.
Si sa poco anche del numero originario delle Vestali. All’inizio erano quattro, poi aumentarono a sei. Venivano scelte dal pontefice massimo, secondo le norme trascritte in una legge Papia, il cui contenuto è conservato in Gellio (Noct. att., I, 12, 10). Le fanciulle proposte venivano estratte tra un gruppo di venti, dovevano trovarsi in età fra i sei e i dieci anni, essere immuni da difetti fisici, avere ambedue i genitori viventi. Poi nei primi secoli della Repubblica, dovevano appartenere alla gente patrizia. La fanciulla, una volta scelta dal pontefice, veniva condotta nell’Atrium Vestaee rivestita dell’abito e delle insegne della sua carica. La carica delle Vestali durava trent’anni: raggiunta questa età potevano lasciare l’Ordine e maritarsi. Ma in realtà molte preferivano restare e fare da istruttrici alle novizie.
Come si diceva, il servizio delle Vestali consisteva essenzialmente nella cura del focolare pubblico e nella custodia dei sacri cimelî (pignora imperii) conservati nell’Aedes Vestae. Di questi cimeli sicuramente vi era il famoso palladio, un simulacro ligneo che rappresentava Pallade Atena. Anche in questo caso bisogna andare oltre le forme, il simbolo: non si trattava di un pezzo di legno seppur riccamente scolpito e basta. Bensì quello che rappresentava metaforicamente era importante: la Sapienza divina, quella Atena Pallade nata dalla testa di Zeus, già grande e armata. Senza questa Sapienza divina (o Sofia, se vogliamo darle un nome più vicino al Cristianesimo) le civiltà non possono svilupparsi e crescere. Il palladio, racconta la leggenda, era stato trasportato da Enea da Troia a Roma. Vuol significare che la Sapienza abbandona la Grecia, con Troia in fiamme, e viene portata da un iniziato in un altro luogo: si “nasconde” per poi iniziare a manifestarsi di nuovo. Riguardo al fuoco sacro, questo ardeva perpetuo nel sacrario della dea, ma una volta all’anno, il 1° marzo, lo si lasciava spegnere deliberatamente, per riaccenderlo poi coi tizzoni ardenti presi dal focolare dell’Atrio; ma guai se esso veniva a mancare da sé, in qualsiasi altro momento! Il fatto era interpretato come una vera disgrazia per tutto lo stato e gravi pene erano comminate contro la vestale colpevole di tale negligenza.
Il calendario religioso delle Vestali contemplava poi la loro partecipazione a numerosi riti pubblici e prescriveva norme minuziose e severe così per il disbrigo delle loro mansioni nell’aedes Vestae come per il loro intervento alle altre cerimonie del culto ufficiale.
Un’altra caratteristica dell’Ordine delle Vestali (che troviamo in ogni caso anche in numerosi ordini monastici venuti dopo) era la custodia della verginità per tutta la durata della carica sacerdotale: il venir meno ad essa costituiva “incesto”. Né soltanto castità corporale si richiedeva alle Vestali, ma anche purità spirituale: ogni atto di vanità era in esse gravemente riprovato ed era considerato colpevole il tenere in loro presenza discorsi licenziosi. La vestale colpevole di aver lasciato, per sua negligenza, estinguere il fuoco, era punita con la fustigazione, che veniva inflitta dal pontefice massimo in persona. Una punizione ben peggiore attendeva colei che aveva peccato d’incesto: veniva sepolta viva nel campus sceleratus, presso la Porta Collina: il seduttore era fustigato a morte nel Foro.
Pur avendo delle regole severe sui riti da svolgere ed i doveri spitiruali, le Vestali potevano liberamente girare in città, visitare i parenti e persino partecipare alla visione dei giochi dei gladiatori. Oltre a questo, a loro era riconosciuta la facoltà di testare ed era assicurata l’esenzione dalla tutela e dalla capitis deminutio che si applicava normalmente a chiunque cambiasse lo status familiae; godevano inoltre dei diritti di testimoniare senza prestare il giuramento di rito, di venire sepolte nell’Urbe, all’interno del pomerio, di attraversare la città in cocchio per recarsi alle cerimonie sacre, di essere precedute da un littore, di avere un posto d’onore al teatro, di graziare i condannati a morte che, condotti al supplizio, s’imbattessero con loro lungo il cammino; alla vestale massima non si estendeva neppure l’autorità censoria.
Il collegio delle Vestali rimase in opera fino agli estremi tempi del paganesimo. Con i decreti imperiali di Graziano, nel 382, di Valentiniano e Teodosio, nel 391 e nel 392, di fatto fu soppresso. Oggi se vi capiterà di visitare il Foro, troverete numerose statue di Vestali massime, rinvenute fra le rovine dell’Atrium Vestae. Esse ci confermano le indicazioni dei testi, relative all’acconciatura matronale delle sacerdotesse. La vestale è rappresentata sempre col capo adorno delle vittae e dell’infula sacerdotali e coi capelli raccolti sotto i seni crines, una specie di parrucca di cerimonia, in voga tra le matrone ma vietata alle fanciulle e alle meretrici; e la testa è spesso raccolta nel suffibulum, che non è probabilmente altro che il velo usato ordinariamente nei riti sacrificali, ma che, secondo alcuni, ricorderebbe il rosso flammeum di cui si velavano le fidanzate nel giorno delle nozze.
Le statue sono le mute testimoni di quel lontano tempo, dove nell’antica Roma delle donne divennero custodi del sacro fuoco, di cui oggi non rimane che un’eco lontano.
Buona lettura.
Link per l’aquisto del volume Libreria Internet Bookshop
Link per l’acquisto del volume Librerie Feltrinelli https://www.lafeltrinelli.it/storia-delle-vestali-romane-del-libro-a-g-frigerio/e/9791280508065?lgw_code=50948-B9791280508065&awaid=9507&gclid=EAIaIQobChMI1s6Ey6m49QIV6QyLCh3-9wDYEAQYBCABEgIRnfD_BwE